Astana è una città in continuo movimento. Il suo assetto è cambiato diverse volte come la sua denominazione. Antica Akmolinsk, poi capitale delle Terre Vergini sovietiche sotto la denominazione di Tselinograd divenne capitale negli anni novanta, quando il Kazakistan ottenne la sua indipendenza da Mosca, e mutò il suo novello nome da Aqmola ad Astana.
Città neuro-asiatica e nata dalle ceneri dell’URSS, Astana è la capitale del Kazakistan, una città artificiale ed ecologica in rapida espansione governata dal presidente Nazarbayev che utilizzando le risorse generate dai proventi del petrolio ha deciso di non badare a spese concependo e realizzando un progetto unico al mondo.
Erano gli anni della ripresa dalla crisi economica e il Kazakistan stava incominciando a risollevarsi grazia elle immense risorse energetiche di cui poteva godere il paese e alle sue spropositate riserve di uranio, oro, rame e piombo. Una decisione, quella di spostare la capitale ad Astana, dettata soprattutto da motivi commerciali e di comunicazione.
Astana, che in lingua kazaka significa appunto capitale, ricopre un ruolo importantissimo nella vita dei Kazaki e del Kazakistan. E’ il luogo dove vengono prese le decisioni più importanti per il popolo nomade ed è il luogo in cui risiede il presidente Nazarbayev che governa ormai dal 1991 con immensa devozione del popolo. Basti pensare che il compleanno del presidente è stato scelto come giorno di festa nella capitale. Con il suo milione di abitanti Astana è una città multietinica: la maggioranza degli abitanti sono di nazionalità russa seguiti da kazaki, ucrani e tedeschi che costiuiscono la minoranza più vicina culturalmente ai russi. Un ambizioso progetto si è abbattuto sulla capitale, quella di farla diventare una nuova Dubai della steffa, attuando una rivoluzione urbanistica razionale. Una città programmata a tavolino dagli architetti che si è dimostrata, contrariamente a quanto è accaduto ad altre città non nate in maniera spontanea, a misura d’uomo e sostenibile. Una città utopica il cui progetto fu affidato all’architetto giapponese di Fama Mondiale Kisho Kurokava da sempre a sostegno dell’ecologia e dei prgetti architettonici eco-friendly. Kusokava lberandosi dalle convenzioni concepì la città in settori, in quartieri l’uno in fila all’altro: il settore industriale che si snoda intorno alla stazione, settore residenziale, settore amministrativo di governo e infine quello per i diplomatici. Gli artefici del progetto hanno letteralmente domato la natura, ovviando al problema del clima, molto freddo d’inverno e molto umido d’estate, immaginando una immensa foresta che ha il compito di formare una barriera contro il vento della steppa. Concepita dal suo architetto in modo da potersi espandere, Astana punta ad inglobare sempre di più il fiume Ishim ponendolo al centro della città, come nelle capitali europee, e ad amalgamare i palazzi del periodo sovietico a quelli moderni e futuristici. Artisti e intelluttuali hanno dato il loro contributo alla construzione della città che in pochissimo tempo dal suo concepitmento fu subito scrostata e ricoperta da gusti di plastica color pastello. Un altro grande archittto di fama mondiale, ovvero il britannico Sir Norman Foster, ha preso parte al progetto ideando una mini città nella città, un enorma tendone a cono chiamato Khan Shatyry di circa 100 mila metri quadrati realizzato in etfem, un materiale estremamente flessibile che permette di mantere una temperatura costante all’interno del tendone di cira 30 gradi tutto l’anno. All’interno un centro commerciale con all’ultimo piano spiaggia con palme e piscina, acquapark e giardino botanico. Nonostante il paragone con gli UAE, Astana appare ben lontana dall’ìopulenza degli Emirati Arabi. Si fa fatica a darle una definizione oltre a quella di città utopica. Concepita da un’ex capo dell’unione sovietica, Astana è un groviglio di ferro e culto, di cemento e simboli massonici, un parco giochi nato dal desiderio di creare dal nuovo, ergere da una tabula rasa un mondo artificiale che sfugge alle leggi della natura e riesce a piegarlo a suo favore. Uno spunto di riflessione sul potere immenso che ha ormai acquisito l’uomo e la modernità.